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domenica 9 febbraio 2014

Un po' di cosette, ora non sto a dirvi - seconda parte

( ... continua dal post precedente ...)

Qualcuna, non 83enne ma sulla cinquantina, dimostrava di aver capito quanto l’altra con trent’anni di più perché s’ostinava a zittire chi parlava mentre era in corso la presentazione dei vari pezzi, fatta da uno che aveva una somiglianza inquietante con il presidente del consiglio Enrico Letta, al punto da ammettere davanti al pubblico di prenderlo a modello presentandosi sul palco a gennaio senza la giacca (e ciò è molto triste). Uno che ha infilato svarioni clamorosi, tipo quello del Mozart che “era morto per superlavoro e per via del salasso d’un medico idiota”, ma quando mai? Badate che sulla morte di Mozart, il mistero musicale per eccellenza, ho sentito letteralmente di tutto: dalle bastonate d’un marito cornuto all’omicidio massone, dalla morte naturale al decesso per epidemia, dall’avvelenamento con l’acqua tofana alla manina fatata del povero Salieri (che, detto di passata, è stato un operista e un compositore coi fiocchi, altro che il mediocre omicida bastasu e cainu del film). Questa del salasso, v’assicuro però, mai la sentii. Niente sapivu, niente vidi. O meglio, c’è stato uno in passato che ha formulato l’ipotesi, ma nell’ormai remoto 1966, e senz’alcuna prova. Flebotomia in doppia fila, anche lei. Il superlavoro, invece, è un imbucato, una new entry, chiamatela come volete. Il Mozart pressoché inattivo del 1790 si rifece e con gusto nel 1791, componendo come un dannato, ma sguazzando anche nell’“excès de travail et de plaisir”.

E che dire del Mozart che ebbe l’idea di commentare la busta paga salisburghese con un pizzino eloquente (“Troppo per quel che faccio, troppo poco per quel che potrei fare”)? Già, peccato che Mozart scrisse quel biglietto a Vienna per lamentarsi del magro compito di autore di danze per il Carnevale (è come se un allenatore facesse giocare Messi o a Maradona come terzino, per capirci). Salisburgo non c’entrava nulla. Acqua passata, ormai. E poi i brani in sala non si presentano, si suonano e basta, specie se chi li presenta non li conosce (ha confuso la Sonata KV 279 con il KV 297, che è una Sinfonia e pure brutta). Chi s’ostinava a lamentarsi per chi parlava durante la presentazione poi si subiva tranquilla i viavai di gente e i vari sussurri di prammatica durante l’esecuzione dei brani.


Insomma, lodevolissima iniziativa, che come detto ho seguito in seconda fila, rinunciando a sedermi per lunghi tratti del concerto. Conclusa, almeno per quanto riguarda noi, con una superba versione del Rondò in la minore KV 511 (un pezzo che ha letteralmente fatto e rivoluzionato la storia del genere e con i rondò veneziani suoi parenti, per fortuna, non c’entra niente). L’importante è non guastare siffatte manifestazioni infilando sfondoni in libertà nella testa dei curiosi.

Mario Kraus